“Rumore Bianco” di Alberto Fasulo

Scritto da | Ottobre 3, 2014 | Redazione | Nessun Commento

“Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono” […] “Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo mi interruppi subito […]. E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino allora era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola rosada”. Così Pier Paolo Pasolini descrive, nel suo Empirismo eretico, il momento in cui realizzò l’importanza di fornire un supporto fisico al dialetto friulano; una realtà orale effimera ma di importanza culturale e antropologica unica,  lingua pura e vergine da qualunque elaborazione letteraria. Spinto da un desiderio simile, il regista friulano Alberto Fasulo realizza, nel 2008, Rumore Bianco, un documentario che raccoglie le esperienze degli abitanti di un luogo singolare come il Tagliamento, con lo scopo di realizzare un resoconto di una cultura e di un territorio estremamente variegati. Come nel caso di Pasolini, quello intrapreso dall’autore è un percorso di riscoperta delle proprie origini, accompagnato dalla volontà di far conoscere questa cultura ricca di valori universali al mondo esterno.

9Rumore Bianco, presentato al Festival dei Popoli di Firenze e uscito nelle sale italiane nel 2008, è l’esito di tre anni di lavoro lungo il Tagliamento, celebre fiume che segue il confine tra Veneto e Friuli. Il film ne percorre le rive, narrando la storia degli abitanti del luogo tra passato e presente, restituendo il racconto poliedrico di un luogo in cui natura e uomo hanno imparato a convivere da tempo. La struttura è piuttosto frammentata, si presenta come un collage di momenti di vita quotidiana di abitanti di età, provenienza e occupazione diversa. Si vedono dunque anziane signore che vivono una vita quasi ottocentesca, utilizzando soltanto ciò che la natura fornisce loro, giovani che usano il Tagliamento come parco giochi, lavoratori di una centrale idroelettrica, ricercatori tedeschi che studiano la flora e la fauna del fiume. Dal punto di vista della produzione, il film ha seguito un percorso piuttosto particolare; il regista. infatti, oltre che con la casa di produzione friulana Faber Film e alla collaborazione con l’emittente televisiva svizzera RTSI, si è associato a circa 40 comuni locali, che insieme formano il Protocollo d’intesa Rumore Bianco e contribuiscono a finanziarne la realizzazione. Avere il supporto dei comuni locali ha reso inoltre molto più semplice ottenere permessi e consensi per la realizzazione del documentario, nonché la fiducia dei personaggi che ne sono protagonisti. La somma ottenuta con la vincita del Premio Civiltà dell’Acqua Renzo Franzin ha contribuito anch’essa al finanziamento del progetto e al suo ulteriore radicamento sul  territorio. Per otto mesi il regista si è immerso nelle realtà locali, cercando di capire cosa rappresenti il fiume per chi ne abita le rive; ha poi selezionato i personaggi attraverso una serie d’interviste e approfondito la conoscenza del territorio visionando i materiali d’archivio della Cineteca del Friuli. Il lavoro è proseguito in modo piuttosto variegato; il regista a volte ha lavorato da solo, vivendo a contatto con i protagonisti del documentario (il tempo passato con l’anziana signora “eremita” lo convincerà quasi a realizzare il documentario esclusivamente su di lei), ma solitamente le riprese avvengono con una piccola troupe, con un’attenzione particolare per il suono in presa diretta, cui lavorano diversi tecnici. Concluso il film dopo un lungo periodo di montaggio, effettuato in gran parte dal regista, la casa friulana Tucker Film si è occupata della distribuzione; nota soprattutto per la diffusione in Italia di film asiatici (tra i più recenti vi è ad esempio Departures, vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero nel 2009), la stretta collaborazione con il Far East Film Festival ha contribuito a mandare il film di Fasulo in proiezione anche in realtà lontane, come quella del Pusan International Film Festival in Korea. Nel panorama dei festival europei, il film ha ottenuto diversi premi, tra i quali il Premio Ischia Documentari all’Ischia Film Festival 2009, la Menzione Speciale della giuria al Sciacca Film Fest e al Der Neue Heimatfilm Film Festival, il Premio Parco Colli Euganei all’Euganea Film Festival e il Premio Maestrale come migliore documentario al Babel Film Festival nel 2010, un festival sardo interamente dedicato alla valorizzazione delle minoranze etniche.

1Il documentario parte quindi, sotto tutti i punti di vista, proprio dal territorio e dalle storie dei protagonisti; questo aspetto ha contribuito a rendere Rumore Bianco un progetto e, in un certo senso, uno strumento comunicativo molto sentito dalle comunità locali. Attorno alle prime proiezioni, avvenute appunto sul territorio, sono sorti eventi con numerose attività interamente dedicate al Tagliamento, come la Notte Bianca per Rumore Bianco. La valorizzazione del territorio è evidentemente un tema molto caro al regista, il quale ha realizzato anche diversi spot per piccole realtà tipiche del Friuli, quali la scuola Mosaicisti del Friuli e il precedentemente citato Far East Film Festival. A questo punto pare necessaria un’analisi del territorio in questione, per capire perché il Friuli, e in particolare gli abitanti del lungo Tagliamento, siano caratterizzati da elementi unici che hanno attirato l’attenzione del regista. Fin dall’antichità il Tagliamento, detto anche il re dei fiumi alpini, viene visto come risorsa ricca e importante da preservare; la sua vastità permette infatti di utilizzarlo come via alternativa alle strade ed è tuttora il fiume più intatto d’Europa. Essendo così lungo, il suo letto è caratterizzato da variazioni strutturali piuttosto uniche, con alcuni tratti di grande portata e altri aventi forme di spianate aride attraversate da ruscelli. La posizione del fiume è stata decisiva nella creazione di due popolazioni piuttosto differenti (e non sempre in ottimi rapporti) come i veneti e i friulani e fa da barriera fisica, ma anche psicologica, tra la regione e il resto d’Italia. La storia del corso d’acqua e dei suoi abitanti è purtroppo caratterizzata dalle guerre e dai disastri naturali. Durante la prima guerra mondiale, il Tagliamento fu l’ultima frontiera della disfatta italiana di Caporetto, dove nello scontro con l’impero Austro-Ungarico vennero catturati oltre 250.000 soldati della penisola. Durante la seconda guerra mondiale invece, il Friuli subì l’occupazione nazista e il lungo Tagliamento sarà zona di numerosi bombardamenti delle forze alleate. Nel corso degli anni, il territorio è stato inoltre soggetto di svariate alluvioni a danno delle popolazioni locali, abituate purtroppo a disastri naturali quali il disastro del Vajont del ’63 e il terremoto del ’76. Questi eventi hanno segnato la popolazione friulana profondamente, determinandone cultura e mentalità. La peculiare storia della regione ha reso la popolazione del Friuli particolarmente interessante da un punto di vista antropologico, sempre in bilico tra frammentazione e unità. In particolare, si possono individuare sia divisioni interne tra zone diverse dello stesso Friuli, con gruppi che rivendicano una maggiore appartenenza storica e culturale alla propria terra rispetto ad altri, sia tra Friuli e resto d’Italia. Al contrario, la forte e sentita tradizione folklorica e la particolare storia comune fungono da elementi unificatori, da forze centripete in contrasto con quelle centrifughe sopra descritte. Il rapporto tra abitanti e territorio si basa su sopravvivenza e resistenza, due temi importanti affrontati nel documentario. Il fiume per le popolazioni locali è fonte di vita e risorse, ma anche di morte; si instaura quindi un rapporto di mutuo rispetto tra popolazione e territorio, dovuto anche alle disastrose esperienze passate di intervento sul territorio, come la diga del Vajont. La salvaguardia dell’ambiente è quindi una questione molto sentita e il film, in talune scene, accenna ad alcuni dei temi più dibattuti del momento, come la presenza di centrali idroelettriche sul territorio, o le modifiche del percorso del fiume e il problema dei nuovi edifici abbandonati e quindi demoliti nelle zone più isolate del territorio. Nell’affrontarli il regista offre uno sguardo piuttosto imparziale, non si addentra eccessivamente nelle questioni o nelle polemiche che ne derivano, ma si limita a rappresentare la realtà.

4Se in scienza il “rumore bianco” è definito come segnale continuo ma in costante cambiamento, nel film queste caratteristiche sono personificate dal Tagliamento, che occupa da migliaia di anni quello spazio, ma muta costantemente forma e ruolo. Così come il popolo friulano, mutua attraverso gli anni, ma rimane legato alle proprie origini e tradizioni. Questo mutamento emerge dal documentario, anche se in maniera meno marcata, nel tema dell’evoluzione generazionale. Il Friuli sta vivendo, come il resto dell’Italia, un periodo di transizione e modernizzazione che rischia di minacciare l’identità e le tradizioni locali; problema questo molto sentito da gran parte della popolazione. Fasulo, probabilmente per paura di rendere il lavoro dispersivo, sceglie di rappresentare una sola realtà, quella del Tagliamento e del rapporto che gli abitanti hanno con esso, lasciando quindi fuori il problema delle nuove generazioni per cui il territorio non ha quasi più valore. La presenza di scene di vita di altri tempi prese dagli archivi (o semplicemente dalla vita quotidiana della signora eremita) accostate a scene di giovani che vivono il Tagliamento reinventandolo, o la sequenza della Festa della Vecchia, una celebrazione contadina in cui si scaccia l’anno vecchio per augurare un buon anno nuovo, sono indicative dell’attaccamento al territorio e alla tradizione. La perdita delle proprie tradizioni, il rapporto con il territorio e il contrasto generazionale sono tutti temi che Fasulo riesce a cogliere ed estrapolare da una piccola realtà, per trasmetterli al mondo esterno in una forma comprensibile a tutti.

9Dal punto di vista stilistico, il regista ha adottato delle tecniche piuttosto interessanti che testimoniano proprio l’intenzione di diffondere contenuti molto particolari ad un pubblico universale. Il regista parte proprio dall’acqua, da ciò che rappresenta e dalle emozioni che suscita in lui e nei locali. Fasulo si fa trasportare dal fiume, ne segue il flusso catturando, con lo stile del cinema osservazionista, momenti di quotidianità delle persone e dei luoghi che incontra nel suo viaggio, rendendo il documentario quasi il resoconto di un’esperienza. In un’intervista il regista afferma che il fiume è come una scatola che contiene i ricordi degli eventi che vi sono accaduti e induce in chi vi passa del tempo un processo introspettivo di riflessione profonda. L’intenzione di Fasulo con Rumore Bianco è proprio trasmettere ciò che si prova stando sul lungo Tagliamento, dando la libertà allo spettatore di compiere un proprio viaggio all’interno del luogo rappresentato. Questo tipo di obiettivi ha portato il regista ad adottare soluzioni visive e sonore molto particolari. Il suono è la prima preoccupazione del regista nella realizzazione del documentario, ed è forse l’aspetto tecnico su cui lavora di più. Il film è privo di voce narrante, e piuttosto povero di dialoghi, a momenti di musica e basse frequenze si alternano silenzi dominati solamente dal rumore del fiume. La musica si costruisce come un tappeto sonoro, a volte aggiungendo e a volte togliendo frequenze, ma mantenendo sempre quella componente di “disturbo” che è il rumore bianco del Tagliamento. Dal punto di vista visivo, si alternano scene da documentario “classico” a momenti più sperimentali, in cui la camera volteggia effettuando lunghi pan e soffermandosi ogni tanto per seguire ciò che cattura l’attenzione, come un occhio che scruta un paesaggio. L’alternanza tra tipi di riprese più o meno standard apre una questione interessante sul rapporto tra regista e spettatore e, nel caso particolare, sul modo in cui Fasulo riesce a direzionarne lo sguardo, lasciando comunque lo spazio necessario alla riflessione personale. In alcuni momenti la camera dirige l’occhio dello spettatore, in altri si perde in immensi scenari, dando spazio all’occhio per navigare. Esempio interessante è la scena in cui la camera passa dall’osservare i ricercatori tedeschi al lavoro a seguire il volo di due farfalle che entrano in campo, perdendosi poi in uno scenario indefinito e fuori fuoco; è il regista ad imporre una visione allo spettatore, senza che vi sia comunque alcuna forzatura grazie alla naturalezza con cui avviene la transizione: seguendo, così come fa l’occhio umano per istinto, ciò che attira l’attenzione. Una scelta decisamente inusuale del regista è stata quella di utilizzare esclusivamente attrezzatura analogica, quindi pellicola per le immagini e microfoni analogici e registratori a bobine per il suono. La motivazione di questa scelta è la volontà di rimanere il più vicino possibile alla natura che si stava rappresentando; inserire elementi elettronici in uno spazio così naturale avrebbe interrotto il flusso tra documentario e ambiente. Questa scelta ha donato al film un look decisamente poco moderno e d’altri tempi. La camera, probabilmente piuttosto vecchia, introduce, specie nelle scene di luce diretta intensa, oltre ai classici difetti della pellicola, colori piuttosto piatti, bordi poco definiti e un’immagine velata da una patina giallastra. Lo stile complessivo dell’immagine è assimilabile alle pellicole degli anni ’70. Il suono invece risulta molto pulito, grazie al lavoro accurato svolto dai tecnici in produzione con la presa diretta e in post con l’elaborazione del suono. Degna di nota la scena finale in cui, in corrispondenza dell’inserimento del microfono in acqua, il suono del fiume entra di netto rimanendo l’unico suono presente fino alla fine del film.

6Dal punto di vista contenutistico, il regista trasmette questo spazio tramite i personaggi, protagonisti assieme al fiume del film. Fasulo riesce a ricreare lo spazio personale di ognuno di loro, entrando nelle realtà particolari e catturandone momenti spontanei di vita quotidiana incontaminata. Far emergere la personalità e la natura di individui (che ovviamente non sono attori) è un processo molto complicato, riuscito in questo caso solo grazie al rapporto che il regista instaura sul piano personale con i personaggi. Essi si fidano e si abituano ad averlo nel loro spazio, e quindi riescono a restituire una “recitazione” autentica e pura. Interessante confrontare questo approccio con il caso del successivo Tir, primo film di finzione di Alberto Fasulo e vincitore del premio “Marc’Aurelio d’Oro” al Festival Internazionale del Film di Roma. In questo progetto, il regista ha iniziato a realizzare un documentario sul tema dei camionisti ma, successivamente, ha trovato limitante il genere documentario nella sua capacità di raccontare un personaggio. Ha deciso quindi di optare per un film di finzione, in quanto un attore posto nelle stesse condizioni del personaggio da raccontare, secondo il regista, è in grado di restituire un realismo maggiore al personaggio. Questo può sembrare contrastante con quanto fatto in Rumore Bianco; bisogna tuttavia notare che in Tir il ruolo del personaggio era molto più critico per la riuscita del film rispetto a quello dei vari personaggi di Rumore Bianco, che presenta inoltre dei presupposti diversi. Gli elementi più autentici del documentario come i rapporti con le persone e la bellezza delle riprese, unite ad un attento mantenimento da parte del regista dell’equilibrio tra scene sperimentali e più legate alla cultura friulana e sequenze classiche di comprensione “universale”, rendono Rumore Bianco un film che raggiunge e coinvolge qualsiasi tipo di pubblico. Fasulo raggiunge così lo scopo che più di 60 anni prima si era prefissato Pasolini nella scrittura delle sue opere “al di qua del Tagliamento.

Matteo Olivieri

Scritto da Matteo Olivieri

Laureando in Ingegneria del Cinema e dei Mezzi di Comunicazione al Politecnico di Torino, lavora come videomaker per una casa di produzione che ha fondato.

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