I paesaggi-passaggi di “Sentire l’aria”: quando l’ambiente forma l’anima

Scritto da | Luglio 8, 2014 | Redazione | 2 Commenti

Il documentario di Manuele Cecconello non può essere analizzato prescindendo dal rapporto che lega l’opera al territorio in cui è stato girato. Sentire il vento è infatti costruito sul paesaggio, la pianura e gli alpeggi del biellese, e sul suo protagonista, il giovane pastore Andrea. «Biella tra ‘l monte e il verdeggiar de’ piani/lieta guardante l’ubere convalle,/ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti/camini ostenta», scriveva Giosuè Carducci nella sua ode Piemonte del 1890, tratteggiando in pochi versi la felice posizione geografica e la fiorente economia industriale (basata sul tessile) e agraria della cittadina. Sede di manifatture storiche, risalenti alla fine del ‘800, inizio ‘900, dagli anni Sessanta Biella ha conosciuto una nuova espansione industriale che, come in molte altre realtà italiane, ha comportato un progressivo abbandono delle attività legate all’agricoltura e alla pastorizia, e dunque a una crescita edilizia ai danni delle aree di coltivazione e pascolo nella pianura. Oltre ad essere un territorio di confine geografico, trovandosi in prossimità della Valle d’Aosta, ai piedi delle Alpi, Biella si presenta come terra incerta tra la sua vocazione più “naturalistica”, legata alla ricchezza delle risorse che offre la prossimità tra zone pianeggianti e montane, e quella che ha portato allo sviluppo economico più incisivo e, dunque, di stampo industriale. Chi nasce e vive in queste zone si trova così, quasi in via obbligata, non solo costretto a convivere con la doppia vocazione del territorio, ma anche a compiere delle scelte in cui non è sempre facile coniugare la tutela ambientale e la necessità economica.

2 Ecco che qui possono nascere le storie come quelle di Andrea, ragazzo di estrazione borghese che fin da piccolo si sente attratto dalla vita all’aria aperta e dalla custodia delle greggi. Andrea, ci avverte il regista all’inizio del film, avendo capito che a scuola ci andava “solo a scaldare la sedia”, decide di sfruttare l’opportunità offertagli da Niculin, storico pastore della zona, di accudire metà del suo gregge in alpeggio. La nascita di questo amore per una vita che, al giorno d’oggi, sembra quasi impossibile, nasce in Andrea proprio grazie alla doppia vocazione del paesaggio in cui è nato: il padre chirurgo, infatti, possiede una piccola proprietà con qualche animale, e frequentandola il giovane capisce qual è la sua vocazione. Il film è un percorso che segue la formazione del giovane pastore nei suoi spostamenti spaziali e temporali. Nell’arco di due anni (dal Natale del 2008 all’estate del 2010) assistiamo alla crescita di Andrea, dal suo apprendistato con il vecchio Niculin fino all’indipendenza, seguendo il suo peregrinare che è quasi un’ascesa spirituale, dai bassi pascoli delimitati da strade e fabbriche del fondovalle, alla libertà e vastità dell’alpeggio, “sotto le nuvole”, chiuso solo dalla naturale corona delle montagne. Un salire, quello del giovane, che segna il distacco da quella formazione “cittadina”, classica, dei banchi di scuola, con cui inizia il film. È un intraprendere quel sentiero verso l’età adulta che Andrea sente essere veramente il suo, l’unico che potrà renderlo un uomo realizzato. Come sottolinea Enrico Terrone, curatore degli scritti del libro fotografico di Andrea Taglier che accompagna il documentario, «L’iniziazione di Andrea alla vita con il gregge reale – al di fuori di quel gregge simbolico che è la società – non si compie attraverso svolte drammaturgiche clamorose, ma attraverso passaggi estesi di tempo, attraverso un rapporto graduale e progressivo di vicinanza con la natura».

vlcsnap-2014-07-08-13h30m06s231Si tratta dunque di un film di formazione che sembra negare ciò che normalmente si intende con “crescita della persona”, che per diventare adulta deve trovare il suo posto all’interno della fitta rete significante della società: Andrea sembra volersi escludere da tutto questo, non trovando al suo interno un luogo dove il suo essere possa assumere un significato. Eppure, quel “gregge reale”, assume inevitabilmente una nuova valenza simbolica: il giovane è nato nel 1992, e la condizione economica e sociale attuale non permette più l’autarchia ai lavoratori del suo settore; il suo mestiere, malgrado tutto, è parte di un sistema che sovrasta la “semplicità” e l’ascesi dell’accudimento dell’animale, inserendosi nella rete dello sfruttamento dei derivati che va al di là deI commercio locale. Andrea tutto questo lo sa bene: la sua non è una fuga da una realtà troppo meccanizzata che valorizza la vita in termini monetari. Il suo discorso finale sulla difficoltà di mantenersi con questo mestiere, la scarsa rendita delle lane e degli altri prodotti, nonché le difficoltà materiali del mantenimento del gregge (dalle alte spese veterinarie ai problemi dei terreni, sempre più sfruttati per la coltura intensiva del mais e per l’edilizia industriale), rivela la volontà di dotarsi di un’identità precisa. Identità che, anche se per la maggioranza del tempo è separata spazialmente dalla “civiltà cittadina”, è ad essa strettamente connessa, non solo per il ritorno economico, ma anche come contrasto primario grazie al quale fondare l’ontologia del suo stesso essere pastore. Dunque le pecore e la vita della pastorizia sono per Andrea quella rete simbolica in cui inserirsi: ciò è confermato proprio dalla presenza di Niculin, cui il ragazzo “ruba il mestiere con gli occhi”. Non ci sono molte conversazioni tra i due, da “buoni montanari” sanno entrambi che non serve la parola, che bastano i cenni tra di loro, i fischi e i richiami ai cani e uno sguardo verso il cielo per capire cosa bisogna fare. Niculin assume il ruolo che normalmente farebbe la scuola: indirizza e insegna a un ragazzo un mestiere che gli dia la possibilità di realizzarsi offrendogli un posto riconosciuto nella società. E come ogni buon maestro, Niculin viene superato dal suo allievo. Andrea infatti riconosce che mantenere lo stesso stile di vita e l’approccio al mestiere del suo mentore non sarebbe più possibile al giorno d’oggi, e con l’intraprendenza e il coraggio della sua età si propone nuove modalità per affrontare il percorso che ha scelto. Il ragazzo si sente lontano dai suoi coetanei, non nutre gli stessi interessi né le stesse ambizioni, ma non li giudica: lui usa il cellulare come sa curare e dirigere i suoi animali, riconosce a se stesso la qualità di sapere stare da solo per lunghi periodi ma ammette anche di avere il bisogno di “scendere” ogni tanto, per uscire con i suoi amici e trovare i suoi genitori, così come in alpeggio parla e si diverte con altri ragazzi giovani che probabilmente d’estate vanno ad aiutare parenti e amici nella transumanza.

Charles-Emile-Jacque-Landscape-with-a-Flock-of-SheepLe scelte stilistiche si accordano perfettamente alla volontà del ritratto, in parte in fieri ed in parte già fissato, che Cecconello si propone. Il tempo di Andrea, come quello del film, è scandito dal ciclo delle stagioni: non ci sono orologi e calendari, solo le albe e i tramonti e il rinnovarsi della natura, che la macchina da presa incornicia in riprese statiche e spesso in campo lungo, quasi ammettendo l’impossibilità di racchiudere in sé la vastità dell’orizzonte dello sguardo del protagonista che vuole raccontare. La pittoricità della fotografia scelta dal regista restituisce allo spettatore quasi la sensazione di “sentire l’aria”, a volte appesantita dall’umida nebbia, a volte fragrante di erba fresca. Spesso il gregge appare come una lunga fila di puntini bianchi sparsi sul dorso della montagna, come in una visione impressionista, o diventa l’orizzonte stesso dello sguardo di Andrea, che sembra a tratti il personaggio di un dipinto della Scuola di Barbizon. La luce è quella del sole, naturale e diegetica nelle sue variazioni quotidiane, o della pila che il giovane utilizza nel covile in altura o il fuoco su cui prepara il suo pasto solitario. La dimensione sonora è data dai suoni della natura, dominati dal belare e dallo scalpitio degli zoccoli delle pecore sui sentieri di roccia. Le voci umane diventano quasi proseguimento del suono della natura, in cui le poche parole in dialetto perdono la loro proprietà di essere linguaggio per diventare eco indistinta del vento e del frusciare delle foglie. La staticità della macchina da presa, sia nei piani ravvicinati che nei campi lunghi, e l’utilizzo di piani sequenza avvicinano lo spettatore a quella dimensione dagli echi a tratti idillici del paesaggio e della vita che dentro ad esso si svolge. Pur nelle difficoltà evidenti dei gesti, nella fatica della vita del pastore in quota, rimane sempre negli occhi quella bellezza e quella freschezza della natura che sembrano sparire dove vediamo Andrea e Niculin alle prese con il rientro delle greggi in città, su strade asfaltate, in mezzo al traffico. Paradossalmente, o forse no, è nella relativa comodità di un pascolo in pianura, vicino al centro abitato, che emerge la vera difficoltà del mestiere: come se trasportando un frammento di esistenza naturale nella città si perdessero anche i contorni che definiscono il pastore nella sua essenza.

vlcsnap-2014-07-08-13h25m57s43Sentire l’aria si presta dunque a molteplici riflessioni, che spaziano dalle difficoltà economiche e pratiche che incontra l’essere umano che si vuole realizzare in un mestiere oggi considerato quasi “inutile”, a stretto contatto con la natura e i suoi ritmi, per arrivare alla lettura dei contrasti che segnano alcuni territori, sviluppatisi in passato con vocazione agraria e che oggi si trovano costretti ad accogliere l’avanzata dell’industrializzazione e il suo impatto ambientale e sociale. La parte finale del film riesce a sospendere quel lirismo, a tratti forse troppo carico di una sorta di nostalgia per gli “antichi mestieri”, che pervade la descrizione della scelta di vita di Andrea. Reinserendo la narrazione e soprattutto il personaggio in una dimensione contemporanea, e andando finalmente ad ascoltare le argomentazioni e l’autoritratto che il giovane fa di se stesso, il regista riesce a trasmettere allo spettatore che quella del giovane non è una fuga, né un problema di asocialità o pesante giudizio sulla società contemporanea. È la storia di una vita diversa da quella della maggioranza dei ragazzi nati in un ambiente borghese in un paese avanzato, una vita che per la sua stessa realtà diventa “di confine”: tra città e montagna, tra realizzazione sul lavoro e difficoltà di ottenerne un rientro economico, tra solitudine e bisogno di compagnia, tra il silenzio ovattato della nebbia e i rumori degli animali. La storia di Andrea, con le particolarità proprie dovute alla sua scelta, è comunque fatta delle problematiche esistenziali che toccano l’essere umano in generale, soprattutto nella sua fase formativa.

1Oggi, in Italia, sta nascendo una cultura di ripopolamento alpino che coinvolge gli enti locali e nazionali verso una rivalutazione sociale ed economica delle aree di altura che spesso, purtroppo, si basa su un contrasto ormai arcaico (ma di nuovo “di moda”) tra “sani valori” della vita a contatto della natura e “disfacimento morale cittadino”. Il rischio che si corre in un documentario di questo tipo è di offrire la visione su una scelta di vita che può sembrare “arretrata”, attuabile in un contesto contadino tutt’oggi ai margini dell’economia e della società dell’informazione, compiuta da una persona non “istruita” nel senso moderno del termine. Il documentario di Cecconello, grazie al suo sorprendente protagonista, si propone in un ruolo dialettico tra queste due realtà proponendo immagini che sì, richiamano inevitabilmente stereotipi visivi che pongono il pastore come persona refrattaria alla socialità e un po’ enigmatica (come apertamente denunciato dallo split screen durante l’intervista), ma che sanno anche presentarne il pensiero concreto e le ragioni esistenziali. Un altro rischio evitato è quello di rafforzare l’idea che il lavoro a contatto con la natura tempri il corpo e la mente (e dunque dopo la fatica l’abbondante piatto di pastasciutta accompagnata da un bicchiere di rosso, come i “vecchi” pastori), formando una persona che cresce e si responsabilizza prima dei suoi coetanei cittadini: Andrea ha ricevuto la prima educazione a scuola e conosce perfettamente l’“altro mondo” arrivando proprio da lì. Per questi motivi credo che Sentire l’aria sia un documentario strettamente legato al suo territorio e possa in esso operare attivamente, proponendo la storia “esemplare” di un ragazzo perfettamente contemporaneo che sa come coniugare propositivamente (e non per contrasti sterili) la sua vocazione esistenziale con le difficoltà e le risorse che un territorio di passaggio come quello biellese, tra pianura industrializzata e alpeggio incontaminato, sa offrire.

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Il dipinto presentato è Paesaggio con gregge di pecore (c.a. 1860-70) di Charles E. Jacque.

Ismaela Goss

Scritto da Ismaela Goss

Dottoranda in Digital Humanities presso l’Università di Genova, ha collaborato con il Torino Film Festival e il Teatro Stabile di Torino.

2 Commenti

  • Claudio Panella Claudio Panella ha detto:

    Segnalo tra le scelte stilistiche meno scontate del film, quella di mostrare il suo protagonista a poco a poco: all’inizio lo vediamo ripreso da lontano, immerso nel paesaggio, di spalle, mai a viso aperto, per poi arrivare a incontrarlo, a sentirlo raccontare la sua esperienza di vita addirittura con il volto raddoppiato sullo schermo da una duplice inquadratura in split screen. Si segue così la maturazione del personaggio di quello che giustamente Enrico Terrone e Ismaela Goss definiscono un “documentario di formazione”…

  • Valentina D'Amelio Valentina D'Amelio ha detto:

    Essendo cresciuta in un paesino del Biellese, per me non è mai stato strano essere scortata da pecore o mucche per un tratto di strada, anche in città. La storia di Andrea è esemplificativa di una possibile convivenza tra tradizione e modernità, in un mondo dai confini sempre più labili, e Sentire l’aria è uno di quei rari documentari in cui il commento sonoro risulta quasi eccessivo: le immagini parlano da sole, mostrandoci la piccolezza dell’uomo a confronto con una natura immensa.

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